Un sospiro di
sollievo
Spesso mi sono ritrovato a lamentare la condizione delle strade locali
e non finirò mai di farlo, ma a parte ciò debbo assicurarvi che il territorio
dove abito, sulla costa tirrenica a sud di Roma, è l’ideale per chi pratica la
bicicletta.
C’è tutto ciò che un ciclista vorrebbe, vasta
pianura con vista sul mare e sui monti circostanti, strade
ondulate non molto impegnative, salite di una certa importanza, boschi
impervi e comodi sterrati di campagna per la pratica della mountain bike;
insomma un vero e proprio paradiso per i ciclisti.
Abbiamo in
particolare, una direttrice impagabile che privilegiamo
soprattutto d’inverno, cioè la strada costiera che congiunge Anzio/Nettuno col
promontorio del Circeo, la quale segue il tracciato dell’antica via Severiana.
Traffico praticamente assente, salvo che in uscita dai paesi
anzidetti per la prima decina di chilometri verso Latina. Immaginateci qui
tutti in fila e curvi sui manubri per lasciarseli dietro il più rapidamente
possibile.
Ma non
appena la strada svolta a destra per imboccare il lungomare Pontino,
solitamente il gruppo si rilassa ed è facile avvertire una sorta di grosso e
corale “ooooh!”.
La strada
scorre dapprima lungo il Poligono di tiro del Ministero della
Difesa, un’oasi incontaminata di circa otto chilometri di lunghezza. Poi c’è
Torre Astura, sul mare allo sbocco del fiume omonimo,
col castello-fortezza dei Frangipane costruito sui resti di un’antica villa
romana. Segue Valmontorio con le sue idrovore,
caratteristiche di tutto il territorio pianeggiante, solcato da un’estesa
ragnatela di canali artificiali perché un tempo sede di un’estesa palude.
Subito
appresso, un ponticello su uno dei più lunghi ed importanti canali, preceduto
da una brevissima salita dove è inevitabile che si scateni una scherzosa
“bagarre” per eleggere vincitore colui che riuscirà ad
arrivare prima di tutti in cima.
Ormai è
un’abitudine, si pensa sempre e solo a quello, non si fa assolutamente neanche
più caso a ciò che staziona incombente a non più di
due/trecento metri dalla costa sulla sinistra: un edificio enorme, altissimo,
monolitico dal quale fuoriescono tubi d’acciaio dal diametro impressionante. Ai suoi piedi, un largo canale che scorre parallelo a quello prima
menzionato. Tutto intorno, alte recinzioni impediscono l’accesso, ma non
una distinta vista. Chi non ne conoscesse la natura non riuscirebbe sicuramente
a classificarlo.
Si tratta
di un edificio che regala a noi, abitanti di questa zona, un indubbio primato:
quello di aver visto nascere, crescere e funzionare per oltre un ventennio la
più grande centrale elettro-nucleare europea degli
anni ’60, la prima ad entrare in funzione in Italia, spenta ormai dal 1986 per
decisione governativa ed in corso di lento e complesso smantellamento.
Conclusione prevista: duemila trenta.
Accanto all’edificio anzidetto, un altro, molto più piccolo ed a forma
di cupola. Si
tratta del Cirene, un reattore di nuova concezione in quanto
non necessiterebbe di uranio arricchito per il suo funzionamento, ancora una
volta primo in Italia di questo tipo e praticamente completato, mai entrato in funzione a causa del famoso
referendum abrogativo del 1987.
Quindi noi
qui, abbiamo convissuto e conviviamo ancora con la sua vista da diversi anni
(si nota distintamente anche da Anzio, il paese dove ora risiedo), e non ci
siamo mai stupiti più di tanto del periodico e continuo viavai di enormi e lunghi camion con innumerevoli piccole ruote che
trasportavano altrettanto enormi contenitori di piombo a protezione delle barre
d’uranio.
Era altresì
normale che parte della banchina del nostro porto, fra i pescherecci, fosse
riservata allo scarico dell’uranio metallico
e per il successivo carico delle scorie dirette in Inghilterra.
La gente
comune, fra l’altro, non ha mai saputo
che la centrale era dello stesso tipo di quella di Chernobyl
e né tanto meno ha mai avuto notizia che nel 1970 anche qui, sebbene su scala
minore, si è verificato lo stesso tipo di incidente
occorso alla centrale russa, che ha provocato la parziale fusione del nucleo e
la contaminazione di tre operai che sono poi morti per aver tutti contratto
alcune forme di tumore.
Fortunatamente
l’incidente è stato circoscritto e non si è verificato alcun tipo di
contaminazione esterna.
Debbo
confessare che quando l’attuale governo ha tirato di nuovo in ballo il discorso
del nucleare, sebbene comprendendone e giustificandone almeno in parte le
motivazioni, ho subito pensato all’evenienza che almeno il Cirene, già pronto
ed in attesa solo del completamento dell’impianto di carico e scarico del
combustibile, sarebbe stato acceso in tempi rapidissimi, regalandoci ancora, fra
gli italiani, un indiscutibile primato.
Mi sono
inoltre chiesto se fosse ancora giustificabile e logico riprendere un discorso
interrotto da anni, vederlo magari concretizzato
chissà quando ed a costi altissimi, piuttosto che investire le stesse risorse in
progetti innovativi e di minor impatto ambientale.
Ma sere or
sono, in tv, ho avuto la ventura di ascoltare il Ministro
Paolo Romani che, molto apertamente, dichiarava conclusa la nuova
avventura del nucleare, culminata con l’abrogazione definitiva della legge che
ne sanciva il ripristino in Italia.
E’ stato
così che ho potuto tirare un sospiro di sollievo ed ho colto l’occasione per
celebrare l’avvenimento, manco a dirlo, facendo una bel giro
in mountain bike proprio nelle campagne intorno al sito che ospita la centrale.
Ho pensato
anche di scattare un paio di foto, una che documenta la bellezza ed il contesto bucolico dei dintorni con la mountain bike e lo
zainetto colmo di cicoria selvatica in bella vista (speriamo non mi si attivi
una reazione a catena nello stomaco), ed un’altra che mostra invece cosa si
nasconde appena dietro le fronde degli alberi.
P.S.: sono passati un paio di giorni.
Per il momento, causa cicoria, reazione a catena solo a livello
intestinale.