Questione di geometrie

 

 

C’è un disegno nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci che, a vederlo, per la sua ingegnosità ed attualità suscita insieme sensi d’incredulità e di stupore. A me, in particolare, suscita anche un certo senso d’inquietudine, tanto m’appare vigoroso il genio di questo nostro antenato; quasi un alieno.

Leonardo aveva già chiaro il senso dell’equilibrio sulle due ruote, cosa che sarà riscoperta e psicologicamente accettata solo nella seconda metà dell’ottocento.

Il disegno è venuto alla luce durante l'opera di restauro di detto codice, sul retro di due mezzi fogli, incollati su un secondo foglio di supporto da un certo Pompeo Leoni alla fine del XVI secolo. Quando è stato ritrovato, quindi, esso era rimasto invisibile a chiunque per oltre trecentosessant’anni.

Sembra tracciato dalle mani incerte di un ragazzo: ed infatti, a riportarlo in quel foglio deve essere stato l’allievo e modello di Leonardo chiamato Salaì. Il nome di costui è riportato anche sul foglio stesso; una firma d’autore in calce insomma. E’ quasi certamente la copia di un originale del maestro, andato perduto; il tipo di trasmissione a catena con denti fatti a cubo è presente anche su un altro disegno di Leonardo, anche questo fra l’altro, non conosciuto fino al 1966.

Ho ritenuto opportuno fare queste premesse e dare queste delucidazioni,  perché senza di loro, essendo  la “bicicletta di Leonardo” così attuale nell’impostazione formale e nella meccanica, s’indurrebbe più di qualche dubbio sulla sua reale originalità e datazione.

Ciò anche alla luce del fatto che, a partire dalla sua entrata nell’uso comune, questo mezzo ha subito numerose modifiche strutturali, anche assolutamente antitetiche rispetto a quelle attuali, per arrivare alla fine, ad una forma che non si discosta molto, soprattutto concettualmente, da quella dell’ormai famoso disegno del Codice Atlantico.

Se qualcuno avesse visto prima questa manifestazione del genio di Leonardo, probabilmente non avrebbe tirato fuori dal cilindro quegli obbrobri che sono apparsi soprattutto fra la seconda metà dell’ottocento ed i primi del secolo passato.

Chi non ricorda, ad esempio, per averlo visto rappresentato su qualche pubblicazione, il “velocipede”, quello strano mezzo dotato di una grandissima ruota anteriore e di una molto più piccola posteriore. Provate ad immaginare anche solo come ci si potesse salire sopra e, a parte il banale problema del pedalarci su, immaginatevi a fare un “fuori sella” in salita.  Essendo i pedali solidali con la ruota anteriore, per curvare occorreva smettere di pedalare; immaginatevi dover fare una cosa del genere in salita.

In Italia era chiamata “Gran bi” ma nei paesi anglosassoni era chiamata “boneshaker”, scuotiossa, a causa dei violenti sobbalzi provocati dalla rigidità della ruota sulla quale il povero ciclista era appollaiato.

All’inizio, finché Dunlop non inventò il pneumatico, la ruota anteriore era dapprima nuda e poi munita di un cerchio di gomma piena.

Il baricentro del ciclista era altissimo; la ruota arrivava a misurare anche fino ad un metro e mezzo di diametro. L’equilibrio quindi era veramente precario. Non erano poi infrequenti le cadute a testa in avanti, anche mortali. L’incontro fra la ruota anteriore ed il minimo ostacolo ne poteva provocare, infatti, il ribaltamento. Per evitare il problema qualcuno pensò di invertire l’ordine delle ruote portando la piccola avanti e la grossa dietro, ottenendo però come risultato che il mezzo si ribaltava facilmente all’indietro in salita. Questo sempre per non dar retta a Leonardo.

Ora sono anni ormai che concettualmente la bicicletta è più o meno sempre uguale a se stessa; somigliante a quella di Leonardo, evidentemente deve avere raggiunto un punto d’equilibrio ed una perfezione oltre la quale è piuttosto difficile poter andare.

Alla luce delle conoscenze moderne i progettisti in ogni modo, si sforzano di introdurre modificazioni che possano indurre ancora qualche miglioramento in termini di prestazioni generali del mezzo.

Al di là della ricerca sui materiali, della quale potremmo eventualmente parlare in un’altra occasione, in termini di geometrie, oggi, nelle nostre biciclette da corsa in particolare, si sono imposte due diverse linee di tendenza: quella tradizionale, che vede un telaio col tubo orizzontale parallelo al terreno e quella invece che lo vuole più o meno inclinato dalla parte della sella, o, come si suole dire più comunemente, con il  solito termine preso a prestito dall’anglosassone,  “slooping”.

Quest’ultima, al di là delle giustificazioni di carattere tecnico, sta recentemente prendendo il sopravvento, probabilmente anche per una questione di moda.

Rimangono in ogni caso valide le giustificazioni che porterebbero a concludere che un telaio “slooping” è leggermente più leggero, ma di pochissimo, rispetto ad un tradizionale ed un po’ più rigido lateralmente, cosa quest’ultima che non guasta soprattutto per la salita e per i rilanci in pianura.

Ma, alla fine, al di là di queste sofisticherie, guardate bene l’immagine della ricostruzione della bicicletta di Leonardo e considerate che il futuro delle nostre biciclette, il punto d’arrivo, potrebbe essere proprio quello.

 

 

                                                                                                                                 Lo Scozzese