Fino a pochi decenni fa, la
bicicletta è stata uno dei mezzi di trasporto urbano più utilizzato,
soprattutto da parte delle classi meno agiate.
Al mio paese d’origine, parlo del Polesine dove la pianura
regna sovrana, per buona parte lo è ancora.
Non è raro incappare in qualche filmato, ormai definibile
“d’epoca”, e vedere all’ingresso delle fabbriche l’accalcarsi di lavoratori a
cavallo d’una bicicletta e per le strade cittadine, fra i rari motoveicoli, la
stessa, scampanellante, dominare praticamente
incontrastata.
Lo sviluppo economico ha poi portato l’automobile a
soppiantare questo mezzo, primordiale al confronto, ma ormai, con l’aumentare
del traffico urbano, il trasporto motorizzato ha raggiunto il limite del suo
possibile sviluppo e la bicicletta, soprattutto nelle grandi città laddove il
traffico è più consistente, rialza la testa e ridiventa concorrenziale.
Sui percorsi urbani infatti, spesso
essa si dimostra il mezzo più agile e più veloce ed il suo uso diventa ancora
più vantaggioso se se considera la facilità di parcheggio, l’assenza di costi
ad esso riferibili e l’assoluta economicità, se rapportata alla spesa
necessaria al mantenimento ed all’uso di un’autovettura.
Purtroppo però, come spesso accade, c’è un rovescio della
medaglia.
L’utilizzo della bicicletta nel trasporto urbano infatti, è ostacolato non poco dall’ormai radicato
orientamento all’uso dell’auto che caratterizza le nostre città, grandi o
piccole che siano, che si identifica nella mancanza o quasi di percorsi
protetti e di apposite aree di parcheggio, per non parlare poi del
comportamento degli automobilisti, per buona parte irrispettosi e non attenti
all’incolumità dei ciclisti, per loro natura utenti deboli della strada.
Curiosamente, per rispondere a questo problema, nelle medie
e grandi città si sta sviluppando spontaneamente un
fenomeno che probabilmente ha qualche cosa a che vedere con quelle immense
nuvole di tordi che, verosimilmente, qualcuno di noi avrà avuto modo di vedere
riempire il cielo il mattino presto, all’uscita dalle città e verso la
campagna, e la sera al tramonto percorrere lo stesso tragitto al contrario.
Gli etologi che hanno studiato tale comportamento
lo giustificano per un fatto di protezione nei confronti di eventuali
predatori, come ad esempio il falco. In effetti la
moltitudine degli uccelli è tale e tanta ed essi si muovono in sincrono in
evoluzioni apparentemente casuali, da impedire che il rapace possa individuare
una eventuale preda e seguirla fino a metterla nel sacco.
Si è soliti definire che tali uccelli hanno formato la
cosiddetta “massa critica”.
Stesso termine e cioè “critical
mass”, di derivazione inglese, perché per la prima volta il fenomeno si è
manifestato a San Francisco nel 1992, viene usato per definire particolari
raduni di ciclisti i quali, ritrovandosi tutti in un particolare punto in una
determinata ora, invadono le strade urbane, normalmente occupate dal traffico
automobilistico, sfruttando la forza del numero, e cioè della massa.
Allorché la “massa” è sufficiente, e cioè
“critica”, il traffico motorizzato risulta bloccato anche su strade a grande
scorrimento, risultando quindi in una preponderanza del gruppo dei ciclisti col
conseguente sopravvento di quest’ultimi che diventano, almeno per una volta e
con soddisfazione, padroni della strada.
Difficile definire le caratteristiche di tale fenomeno se si
esclude il fatto che esso è assolutamente spontaneo e
praticamente privo di qualsiasi tipo di organizzazione formale.
Tutto è improntato sulla base dell’improvvisazione, a
partire dagli appuntamenti, pubblicizzati mediante cartelli affissi in luoghi
spesso famosi ed ad alta frequentazione.
A questi si uniscono i “tam tam” passati attraverso la
cerchia di amicizie, dei gruppi ciclistici
organizzati, la comunicazione elettronica, Internet ed SMS.
Obiettivo è quello di riunire periodicamente, nella
fattispecie una volta alla settimana o una volta al
mese, un certo numero di ciclisti, da alcune decine per finire anche ad alcune
migliaia, in un luogo e ad un orario convenuti dal quale si possano muovere,
formando un blocco compatto occupante anche più di una corsia stradale, che si
sposta a velocità tipiche del cicloturismo più tranquillo e cioè intorno ai
dieci, massimo venti chilometri orari; va tenuto presente che i partecipanti
vanno dai bambini agli anziani.
A titolo di esempio, per rimanere
nei paraggi di casa nostra, si sappia che a Roma l’appuntamento è per ogni
ultimo venerdì del mese alle ore 18,00/18,30 al Piazzale Ostiense, ribattezzato
allo scopo “Piazzale delle Masse Critiche”.
Anche i percorsi non rispettano una
particolare organizzazione: solitamente è il gruppetto di testa che decide
semplicemente il tragitto da fare.
Nei casi in cui il numero dei ciclisti sia molto consistente
non mancano i fenomeni di “mitosi” e cioè di
smembramento del gruppo in più tronconi, ciascuno incline a seguire tacitamente
un suo particolare itinerario.
Ogni ciclista che partecipa alla “massa critica” ha le
proprie motivazioni: la voglia di fare un giro, un impegno ambientalista,
l’idea di poter socializzare, un certo gusto “anarchico” legato alla
situazione, un eccesso di testosterone.
Sono coloro caratterizzati da quest’ultimo che spesso creano motivi di contrasto con gli automobilisti, viceversa
mediamente tranquilli e rispettosi della situazione di disagio loro provocata.
Talvolta le regole non scritte della “massa critica” entrano
in contrasto con quelle del codice della strada: così si preferisce, ad
esempio, passare col rosso ai semafori per non interrompere la continuità del
gruppo ma ciascuno è considerato personalmente responsabile delle singole norme
che va a violare.
Il farsi scudo della forza del “branco” per lasciarsi andare
ad atti provocatori ed irrispettosi nei confronti degli automobilisti,
normalmente non è visto di buon occhio, ma il trovarsi in difficoltà nei
rapporti con costoro, con le autorità o, semplicemente, avere una noia
meccanica, fa scattare subito la solidarietà del gruppo.
E’ strano, più vado avanti con lo scrivere e più mi accorgo,
come sono sicuro anche voi, come ci siano bizzarre
somiglianze con quanto succede in mezzo a noi.
Credo infatti che tutti i lettori
si siano resi conto del fatto che la mattina, soprattutto la domenica, ad un
certo orario stabilito ed in un certo luogo ormai definitivamente e tacitamente
determinato, a Nettuno presso il classico Bar Cippe, molti ciclisti di zona si
ritrovano insieme a formare, inconsapevolmente, una particolare “massa critica” consacrata ad occupare,
soprattutto d’inverno, la strada del litorale pontino verso Borgo Grappa. Unica variante concessa: deviare a Foce Verde verso l’interno per
evitare i “dossi”.
Lo
Scozzese