Finalmente le mie parole, quelle di quando ho avuto
occasione di parlare del monte Artemisio, hanno trovato orecchie attente e
disposte ad ascoltare.
Esse risultano essere in numero di otto ed appartengono agli
amici, gli stessi che qualche tempo fa hanno dato la caccia alla Befana con le
loro “mountain bike” sui monti Cimini nel viterbese: Mario (Inbìci), Sergio
(ErTigre),Roberto (Bibby) e Giuseppe (Bepi).
Complice, questa volta, anche una settimana di maltempo che,
fra le altre cose, ha portato la neve sui monti circostanti.
I nostri, allora, avventurosi e scaltri quali sono,
considerata l’impossibilità di godere per ora di una “settimana bianca”
canonica, hanno intravisto l’occasione per compiacersi almeno di una “domenica
bianca” fra le candide nevi di casa nostra.
Hanno perciò caricato i loro “cavalli” in auto e, dopo aver
salutato, non senza una punta d’orgoglio, gli amici della consuetudine
domenicale sotto sguardi considerati d’invidia, ma purtroppo risultanti solo di
commiserazione, ratti come la folgore,
al massimo consentito da Bepi alla guida dell’auto che faceva da battistrada,
hanno raggiunto il “campo base”, ubicato nei pressi del cimitero di Velletri
(si dice che porti bene), dal quale dare l’assalto alla vetta dell’Artemisio.
E’ sulla cima di questo monte infatti, che senza ombra di
dubbio, ritengono dovrebbe trovarsi la neve.
Stessa idea deve essere balenata a qualcun altro considerato
che, nello stesso luogo, continuavano ad arrivare, alla spicciolata, diversi
altri colleghi ciclisti delle ruote “grasse”.
Rapidissimi i preparativi dei mezzi: una biammortizzata
giallo oro da schianto per Mario, una fiammante monoammortizzata rosso Ferrari
sapientemente marcata e sponsorizzata col suo stesso nome per Sergio
(megalomane!), due MB sobrie e simili, almeno nei colori di base, bianco e blu,
per Roberto e Bepi. Elegantissime. Tutte ripulite e con le cromature luccicanti
come appena uscite dal negozio. La cura che riservano ai loro mezzi, più di una
volta ha provocato il giusto risentimento delle mogli che vedono in questi
aggeggi di metallo delle tremende, sebbene improbabili, concorrenti.
Un po’ di riscaldamento su strada asfaltata in discreta
pendenza ed è subito sterrato che sale piacevolmente ed agevolmente.
Le foglie secche e la breccia scricchiolano sotto le ruote e
mandano un suono melodioso e ritmico: “…crìcchete…cràcchete…cròcchette…” che,
ad un tratto, sotto la bici di Bibby si trasforma in un dissonante
“rattle…trattle…”. E’ l’orecchio vigile e fine di Mario ad accorgersene per
primo e ad avvertire Bibby del fatto che era riuscito a bucare anche con i
copertoni grossi e robusti della MB. Lui non se n’era nemmeno accorto e
continuava tranquillamente a guadagnare metri in salita! Potenza delle gambe
allenate.
Mentre Bibby si occupa della riparazione, una marea di
colleghi transita per la zona, indicando che la strada è quella giusta. D’altra
parte è Bepi, che l’ha già fatta, a fare da guida, ma ad un certo punto Mario,
al quale probabilmente non basta il tipo d’impegno necessario ad affrontare le
scarse difficoltà del percorso, pian piano assume astutamente il controllo
della situazione e li mena per territori impervi e sconosciuti.
Inizialmente raccoglie tutto il loro entusiasmo ed è tutto
un vociare allegro: hanno finalmente trovato la neve.
Subito le foto di rito, ad evitare che nel frattempo si
disciolga. E’ talmente poca. Qualcuno trova immediatamente l’occasione per
formare, faticosamente, una palla di neve che, come da tradizione, va a colpire
uno degli amici.
Continuano a salire speranzosi e subito la loro fiducia
viene in parte premiata: di neve ce n’è parecchia di più, ma assolutamente non
degna di una pur improvvisata e rimediaticcia “domenica bianca”. A fare anche
la più piccola scivolata, neanche a pensarci. D’altra parte qui non ci sono
cannoni da neve a rimediare a ciò che Domineddio non manda; quello che c’è,
c’è.
Scollinano per la prima volta, cominciano a scendere e si
accorgono che la montagna dove sono, dopo che è piovuto assai o è nevicato,
procura un impareggiabile surrogato alla neve: la “fanga”! Ma non semplice
“fanga”, “fanga” vulcanica, nera come la pece e la lava dell’Etna,
appiccicaticcia e scivolosa da non credere, infernale.
Mario fa subito sua l’ideuzza, la promuove, ed al pari di un Tomba prima
maniera comincia ad esibirsi in audaci, eleganti e funambolici “slalom” fra buche, forre e
canaloni, grossi sassi messi a bella posta, pozze d’acqua immonda, provocando
negli altri lo spirito all’emulazione condito però da un po’ di riluttanza e di
timore.
Saranno però state le esperienze della volta passata o sarà
stata la terribile paura di cadere ed inzaccherarsi tutti da capo a piedi,
fatto sta che stavolta nessuno dei nostri protagonisti s’è permesso il lusso
neanche di mettere il piedino a terra.
E su e giù, “fanga”. E giù e su, “arifanga”! Il gioco si
protrae per un bel pezzo, poi, finalmente, in qualche modo s’esce sulla Via dei
Laghi. Qualcuno raccoglie nell’aria un sospiro di sollievo lanciato da non si
sa chi, che si trasforma però in un senso di raccapriccio. Infatti, delle due
l’una: o Mario ha perso definitivamente
l’orientamento o gli frulla qualcosa in testa. La seconda ipotesi è quella
giusta; infatti invece di dirigersi verso valle punta decisamente di nuovo
verso monte.
“Ah Mario, deqquà!”. “No, va bene deqquà”. “Come sarebbe a
dì?”. “Annamo a fà ‘no sterrato”.
Un altro? Non si è visto, ma sotto le lenti scure degli
occhiali da sole tutti gli altri hanno strabuzzato gli occhi.
Si imbocca dopo poco il “nuovo” sterrato, qualche decina di
metri di falso piano, un po’ di informazioni sul giusto percorso da fare
raccolte da un paio di “veterani” di passaggio e giù di nuovo a picco a sciare
sulla “fanga”. Sciare piace anche allo scrivente, però, si sa, “ogni gioco e
bello purché duri poco”. Poi c’è da dire che quel particolare tipo di neve,
contrariamente all’originale, ha la caratteristica di appiccicartisi addosso al
pari della neve vera, però non si scioglie ed il colore non è così invitante.
Così come Dio vuole, dopo aver affrontato, come ha detto
Mario, un “DownHill” ed un “SingleTrack”, parole inglesi dal significato oscuro
ma probabili sinonimi di “fanga”, si esce di nuovo allo scoperto su strade più
confortevoli fra abitazioni residenziali, cosa questa che denota il fatto che,
non lontano, deve esserci il “mondo civile”. Ma i guai non sono finiti: da un
cancello subito e di gran carriera esce un cane nero e si avventa sul polpaccio
di Bepi. Poi di botto si blocca, resta un attimo interdetto e, stranamente,
desiste dall’insano proposito; deve essersi ricordato che i cani prediligono la
carne e quello che vede, anche se si muove come quella, è molto più somigliante
alla cioccolata. Non tutti i mali vengono per nuocere.
Si raggiunge rapidamente il campo base. Complimenti
reciproci. Tutto sommato ci si è comportati meravigliosamente. L’esperienza è
stata veramente formante, al pari di quella acquisita da chi non sa nuotare nel
momento in cui viene scaraventato ed abbandonato in acqua. Il discorso chiaramente
non vale per Mario che, ancora una volta, si è rivelato il più preparato in
materia.
Strano l’effetto delle biciclette, partite fiammanti e di
colore diverso, ora tutte di un unico ed anonimo colore marrone scuro, come
fossero uscite da un unico carrozziere a corto di mezzi e d’idee.
I nostri si guardano l’un l’altro. Mario ha sul viso una
strana varicella scura. Bibby se l’è fatta addosso, almeno a giudicare dal
colore del fondello dei pantaloni. Bepi invece, forse a causa della “strizza”
per le discese che continua a perseguitarlo, l’ha fatta direttamente sul
sellino: infatti è tutta lì, appiccicata tenacemente e inamovibile.
Di Sergio si può dire pressappoco lo stesso. In più va
rimarcato che è stato sorpreso a contemplare la propria MB ricoperta da uno
strato di fango mentre si reggeva il mento pensieroso, come un capomastro che
guarda verso un’opera da compiere vedendola formarsi nella propria mente
proprio nel posto dove sarà collocata.
A chi gli ha chiesto a cosa stesse pensando ha
risposto:”Stavo a vedé dove potevo piantà la cicoria da tajio e dove le fave”.
Il bello della situazione è che al postulante, viste le condizioni della bici e
la grande mole di terreno di bosco fertilissimo che la ricopriva,
l’affermazione è sembrata così verosimile al punto da portarlo semplicemente a
rispondere: “Ah Sé, ma non è un po’ tardi pe’ piantà le fave?”.
Così finisce il racconto di una “domenica bianca”
trasformatasi in una “domenica nera”.
Tutto è bene ciò che finisce bene. Non è poi così importante
aver riportato a casa una bici infangata,
forse più importante è averla sfangata,
malgrado i reiterati attentati alla nostra incolumità messi in atto da Mario il
quale non si scompone neanche di fronte ai passaggi più insidiosi. Beato lui!
Appuntamento, per chi lo desidera, a fra due domeniche.
Solo un’ultima cosa vorrei mettere in evidenza. Alcuni hanno
visitato recentemente il “forum” che sapete e documentano un fatto singolare:
Mario ha cambiato ancora il motto col quale è solito siglare i suoi interventi;
ecco di seguito l’originale e quello nuovo.
“Chi
non ha mai pedalato in mountain bike ha perso una parte importante dello
spirito ciclistico. Non è mai troppo tardi. Illuminati!”
“Chi
non ha mai pedalato in mountain bike ha perso una parte importante dello
spirito ciclistico. Non è mai troppo tardi. Infangati!”
ACCONTENTATO!
Lo
Scozzese