La macchina dei
ricordi
Vado fiero dei miei amici, perché
ciascuno di loro, a suo modo, è un tipo eccezionale.
D’altra parte se così non fosse non sarebbero miei amici.
Presuntuoso? Si, fuori di dubbio.
Sta di fatto però che veramente
ognuno possiede qualche caratteristica che li stacca dalla massa di coloro che
la pensano allo stesso modo, che vestono allo stesso modo, che ambiscono agli
stessi traguardi, che fanno quotidianamente le stesse cose, vedono gli stessi programmi
televisivi e via discorrendo.
Uno, in particolare, starebbe bene accanto ad Archimede
Pitagorico, l’inventore. Ve lo ricordate quel personaggio dei fumetti di Walt Disney che s’inventava le cose più strane, che aveva come assistente Edy
con la testa fatta con una lampadina ad incandescenza e che aveva come amico Eta Beta, l’extraterrestre che mangiava solo “pfnaftalina”?
Beh, guardate, è proprio un tipo simile. Ogni volta che lo incontro, prima o poi ne tira fuori una delle sue.
Comincia a farmi degli schizzi su carta di dispositivi meccanici dalle qualità
mirabolanti, dopodiché, dopo aver praticamente
spiattellato ogni trucco ed ogni segreto del dispositivo, con un solo gesto fa
una palla del fogliaccio di carta dove ha riportato il disegno e lo getta via furtivamente,
quasi a voler cancellare qualsiasi ricordo di quanto m’abbia rivelato.
Vi garantisco però che le trovate sono veramente formidabili,
da vero e proprio genio, scaturite da un soggetto insospettabile sotto questa
veste.
Un’altra delle sue qualità, almeno per quanto mi risulta di aver personalmente constatato, è una certa dose
di altruismo e di generosità. Pensate che recentemente m’ha
addirittura regalato, senza battere ciglio, una delle sue invenzioni. La
Macchina dei Ricordi l’ha definita, cioè un qualcosa
che riporta alla mente le memorie del passato, a comando.
Il fatto eccezionale è che, per quanto possa apparire
incredibile, funziona veramente,
v’assicuro.
Vi spiego in poche parole com’è fatta.
Attaccato ad un’intelaiatura di foggia particolare c’è un
grosso cerchio che ha la capacità d’essere messo in rotazione da una coppia di
manovelle che agiscono su un pignone mediante una puleggia dotata d’una correggia composta d’asole d’acciaio temperato.
Un cerchio molto simile, delle medesime dimensioni, è
attaccato alla stessa intelaiatura e, per uno strano effetto di, potremmo
definirla simpatia o, ancora meglio, di risonanza, entra automaticamente in
movimento in sincrono con l’altro cerchio, una volta che esso sia stato messo in moto azionando le manovelle delle quali
ho appena parlato. Su una delle appendici dell’intelaiatura è applicato un aggeggio
di forma vagamente triangolare mentre su una delle altre fanno bella mostra di
sé una coppia di tubi cavi di aspetto del tutto simile
a quello delle corna di uno stambecco.
Parola mia: è sufficiente far fare
qualche rapido giro ai due cerchi perché d’incanto si liberino i ricordi. A me
è successo. Qualche colpo di manovella ed ecco mio nonno che
m’insegna a mantenere l’equilibrio su una biciclettina
verde ramarro con applicate delle ruotine stabilizzatrici
posteriori. Un’altra girata ed eccomi bambino a
rimirare incantato sulla strada uno schiacciasassi sferragliante. Un
altro colpo ancora e mi rivedo volare, alla fine d’una
strada sterrata di campagna in ripida discesa, bici e tutto, dentro un ruscello
d’acqua gorgogliante. Un’altro ancora e mi ritrovo fresco
e gioioso sposo accanto ad una giovane donna dalla bellezza per me
inconcepibile, lontana dalla mia portata.
Insomma, un prodigio, una cosa stupefacente.
Non ci credete, eh? Se volete posso farvela provare.
Un’unica avvertenza però: la macchina funziona solo se si è soli. Se c’è qualcun altro presente è molto difficile
che agisca, anche se, debbo dire, qualche volta la
cosa a me è lo stesso accaduta.
Avete mangiato la foglia? Se così non fosse,
allora sarò io a vuotare il sacco.
E’ ovvio che sto parlando ancora una volta della bicicletta.
Questa, amici miei, è la fantasmagorica invenzione che
il mio amico m’ha regalato. E’ semplicemente essa la sua Macchina dei Ricordi.
Basta uscire almeno una volta da soli e pedalare immersi nel silenzio delle strade più appartate e tranquille,
sia al mare che in campagna od in montagna per tirarne fuori, capirne ed
apprezzarne questa sua particolare intima ed impareggiabile essenza.
Lo
Scozzese