L'abito non fa il monaco 

 

L’origine dei detti popolari è legata alla stessa nascita dell’uomo come individuo; per questo racchiudono il senso di esperienze elementari, cercando così di svelare l’esistenza di meccanismi immodificabili del genere umano.

Prendiamo ad esempio il detto “l’abito non fa il monaco”. E’ un modo di dire dal significato assolutamente intuitivo che tende a sottolineare come si debba diffidare delle apparenze perché spesso ingannano; non sono solo le parole né gli atteggiamenti esteriori di una persona le cose più importanti per conoscerla davvero.

L’origine del detto, come spesso accade, si perde lontano. Molto probabilmente esso nasce da un più antico detto latino e cioè cucullus non facit monachum (il cappuccio non fa il monaco) dal quale a sua volta trae origine il cosiddetto “ammonimento di Sant’Anselmo” dell’XI secolo, il quale recitava: non tonsura facit monachum…sed virtus animi (non è la tonsura a fare il monaco…ma la vitù dell’animo).

Ora, volendo traslare il concetto nel mondo dello sport, soprattutto in quello al quale più siamo vicini e cioè il ciclismo, potremmo dichiarare che non è il mezzo del quale si è dotati, del quale in un certo senso ci si veste, a definire “in toto” le caratteristiche e le prestazioni del ciclista che lo possiede.

Continuando si potrebbe quindi anche affermare che se il mezzo è importante ai fini del raggiungimento di un certo tipo di risultato, esso non è la cosa più determinante; altrimenti non si spiegherebbe il perché, sebbene il cicloamatore odierno disponga di una dotazione di mezzi che non hanno nulla da invidiare a quelli dei professionisti, generalmente non riesca ad emularne, se non lontanamente, le imprese.

Anche in questo caso quindi, pieno rispetto di quanto i nostri avi avevano già da tempo asserito e di quanto quindi il nostro familiare detto stabilisce: l’abito, e cioè la qualità della bicicletta posseduta, non necessariamente fa il monaco, cioè l’atleta.

Sono personalmente testimone di un caso che da piena ragione a questa convinzione e ve ne vorrei raccontare i retroscena.

Conosco molto bene un ciclista, un appassionato che si diletta con ogni tipo di mezzo a due ruote purché sospinto da due pedali, sia esso una fiammante bicicletta da corsa ben dotata e modernissima in carbonio, una pesantissima ed antiquata cinquantenne d’acciaio ben temperato con componenti di scarsa qualità se rapportati alla situazione odierna, od una ruspante e disinvolta “mountain bike”.

E’ conosciuto come uno che se la cava discretamente sia in pianura come nei percorsi misti ed in salita.

E’ accaduto, anche abbastanza recentemente, che in concomitanza con l’incipiente primavera, lui abbia voluto rispolverare la “cinquantenne” per una divertente uscita fuori del normale.

Compagni: i soliti, gli stessi nell’ambito dei quali nutre la considerazione alla quale si accennava ed all’interno dei quali spesso si distingue in salita. Percorso: Anzio, Doganella, Ninfa, Norma. Un classico.

Per farla breve, a dispetto del fatto che la “cinquantenne” pesa non meno di quattordici chilogrammi, l’esatto doppio di una buona “carbonio” dotata di componenti di media gamma,  un ipotetico spettatore presso la fontana di Norma, avrebbe visto arrivare i ciclisti nella stessa esatta sequenza nominativa di sempre, nel consueto pieno rispetto dei valori atletici in campo.

Ciò dimostra in modo semplice quanto volevamo, e cioè che il detto in oggetto, come gli altri permeato di umana millenaria saggezza, ha pienamente ragione.

In questo caso infatti, se fosse da attribuire solo all’abito, e cioè alla bicicletta, la qualità del nostro amico ciclista, questi, con un mezzo penalizzante sotto il profilo delle prestazioni in salita, non avrebbe potuto ottenere il risultato descritto: qualcuno di coloro che normalmente gli arrancano dietro lo avrebbe messo sotto.

Allora? Allora al diavolo i detti e maledetti coloro che ci spingono a spendere migliaia di Euro nel tentativo di migliorare le nostre prestazioni!

No, un momento, riflettete un attimo perché il nostro amico ciclista, lo stesso del quale si argomentava sopra, è anche testimonianza del fatto che, sempre mantenendosi in campo ciclistico, c’è almeno un caso nel quale il detto può essere smentito clamorosamente ed è quindi determinante vestirsi da monaco, almeno per provare ad essere monaco.

Come ho anticipato sopra, si da infatti il caso che il nostro amico ciclista sia uno che, non solo per bizzarria ma per concreto amore per la natura e per trovare continuo stimolo alla propria passione, si diletta anche con la “mountain bike”.

E’ solito utilizzarla, non come fanno molti su asfalto o leggeri sterrati di campagna, bensì in percorsi caratterizzati da una certa difficoltà sia in termini di caratteristiche del fondo stradale e sia nel senso delle pendenze da superare in salita e soprattutto in discesa; tracciati che si usa definire come abbastanza tecnici insomma.

Fino a qualche tempo fa possedeva una bicicletta di media gamma: un discreto telaio mono-ammortizzato leggero e robusto con una dotazione di componenti alcuni di buona altri di media qualità, se si escludono la guarnitura e la forcella ammortizzata anteriore, questi ultimi assolutamente di bassa lega.

Nelle uscite con gli amici erano frequenti le cadute nei punti più “tecnici” , i passaggi a piedi nei tratti di salita più impervi a causa del frequente impennarsi dell’avantreno con conseguente perdita di controllo del mezzo.

In discesa, costantemente a disagio e sempre fanalino di coda, malgrado la messa in atto di tutti gli accorgimenti posturali obbligatori su sterrato e di tutte le altre raccomandazioni di chi ne sapeva più di lui.

La bicicletta sobbalzava a tal punto da far perdere visione corretta dei dettagli della strada e rendere il mezzo praticamente incontrollabile.

La sua Buona Stella gli ha consigliato di cambiare la bicicletta ed acquistarne una di migliore qualità, biammortizzata con dei buoni componenti nei punti cruciali della dotazione, quelli più importanti ai fini della prestazione del mezzo in termini di conducibilità: telaio, forcella ed ammortizzatore posteriore, guarnitura.

Risultato: più nessuna caduta, non più il piede a terra in salita, discese vorticose ed in buona sicurezza, quasi in tranquillità a dispetto dell’impegno comunque necessario.

La sua Buona Stella ancora una volta aveva ragione ma, a questo punto, i nostri avi sicuramente non più: tutti i detti popolari,  dettati da considerazioni e conoscenze semplici, in qualche caso sono destinati ad essere smentiti.

Quello del quale abbiamo parlato, infatti, è un caso lampante nel quale proprio l’abito ha fatto il monaco.

Non solo, ma da ciò si può trarre un ulteriore importantissimo insegnamento: se il semplice cambiamento della bicicletta con una dotata di caratteristiche tecniche più consone all’ambito nel quale avrebbe dovuto essere usata ha fatto questo miracolo, significa che, se nel campo dell’attività corsaiola, come abbiamo visto e provato, è maggiormente l’atleta a fare la differenza, in quello delle “mountain bike”, viste le difficoltà di guida in percorsi normalmente piuttosto difficili, acquista maggior rilievo il dotarsi di un mezzo maggiormente adatto allo scopo che sia di concreto aiuto a chi lo usa.

Fermo restando il fatto, naturalmente, che le gambe ed indiscutibili capacità tecniche ci debbano comunque sempre essere. Non c’è paragone fra le capacità di equilibrio, di guida e di velocità di reazione necessarie a condurre una tranquilla bici da corsa piuttosto che una imbizzarrita “mountain bike” lungo una ripidissima discesa disseminata di canaloni scavati dall’acqua piovana e da sassi sporgenti. Parola mia. Parola di ciclista e biker.

 

 

                                                                                              Lo Scozzese