La sua mole rappresenta un elemento
particolarmente familiare all’interno del nostro territorio; non esiste luogo,
raggiungibile in una delle nostre classiche uscite in bici, dal quale esso non
possa essere visto da una qualche angolazione. Si erge maestoso a dominare ed a
sorvegliare alle spalle da un lato il paese di Velletri, adagiato mollemente su
uno dei suoi speroni degradanti verso la pianura, e dall’altro la vallata
conosciuta come Prati del Vivaro.
Fa parte insieme al Tuscolo, al Maschio di Lariano, al
Peschio ed altri rilievi di minore importanza, di quella cerchia di giogaie
residuo di una intensa attività vulcanica manifestatasi in lontane ere
geologiche.
Le sue pendici appaiono come un’unica parete verdeggiante di
boschi i quali, almeno fino al XVIII secolo erano per lo più formati da estese
faggete, soppiantate poi progressivamente dai castagni, che lasciano oggi
spazio solo a tratti ad altre essenze arboree caratteristiche della foresta
mediterranea.
La sua sommità arriva a toccare circa 1000 metri di
altitudine; una metà molto appetibile per quanti amano le arrampicate a dorso
di bicicletta.
Così è consuetudine affrontarne le pendenze quando, con le
bici da corsa ad esempio, affrontiamo la Via dei Laghi che sale da Velletri per
scendere poi verso il Vivaro, Nemi o raggiungere Rocca di Papa.
Le sue coste però, che come abbiamo visto appaiono di primo
acchito come un unico muro di boschi verdeggianti che nulla lasciano trapelare,
nascondono in verità una ben più ampia ed intricata ragnatela di strade, alcune
praticabili anche in bicicletta.
La presenza di questa estesa sequela di vie d’accesso è
probabilmente anche dovuta la fatto che i boschi dell’Artemisio sono oggetto di
intensa e proficua coltivazione a ceduo per la fornitura di legname da
costruzione e da ardere; è quindi giocoforza avere una facilità d’accesso a
tutto il territorio boschivo. La raccolta delle castagne, che un tempo erano
indispensabili a sfamare durante l’inverno una popolazione misera ed indigente,
ora è relegata ad un ruolo assolutamente di secondaria importanza.
Purtroppo però, sebbene così numerose, le strade ed i
sentieri dei quali s’è parlato non sono pane per le delicate ruote delle
biciclette da corsa, ci vuole una mountain bike, meglio se adeguatamente
provvista di sospensioni, almeno nella parte anteriore.
Se consultassimo una cartina stradale ben dettagliata, una
almeno in scala 1:250.000 per esempio, noteremmo riportata una strada che si
stacca a sinistra appena fuori del centro di Velletri in direzione di Lariano.
Questa strada appare impegnare le pendici del monte con orientamento verso
ovest per poi compiere una repentina svolta verso la parte opposta fino a
congiungersi con la provinciale che taglia il Vivaro, per 8 km circa, dal bivio
della via Latina verso la via dei Laghi. Se ci recassimo sul posto troveremmo
facilmente questa strada a margine del cimitero con all’angolo un invitante
cartello indicatore che recita: Monte Artemisio. Ma non fidatevi!
A dispetto del fatto che un buon tratto iniziale è
perfettamente asfaltato, essa non tarda a diventare uno sterrato. Un buon
sterrato bisogna però dire, piuttosto largo e degradante con dolcezza sulle
coste del monte, almeno fino a raggiungere la repentina svolta della quale s’è
parlato, la quale non è nient’altro che l’incrocio, non rappresentato bene in
cartina, con una via che scende verso Lariano.
Da questo punto in poi il fondo stradale peggiora
notevolmente ed assume l’aspetto di una strada romana rovinata dal tempo. Il
basolato, vero o presunto che sia, è estremamente sconnesso, in alcuni casi
veramente impraticabile a meno di non possedere doti funamboliche oltre che
buone leve per superare le asperità. Se si ha fortuna, oltre i cigli originari
di questa strada sono ricavate delle cunette, che con un po’ d’attenzione vanno
preferite per il transito.
E’ strano, ma si ha notizia certa del fatto che la valle del
Vivaro, al di qua ed al di là del lago Regillo, proprio quello della
famosissima battaglia del 496 a.C. fra i
Romani ed i Latini, e che ne occupava fino a tempi relativamente recenti
il fondo, sia solcata da un’antica strada romana della quale sono ancora
rinvenibili brevi tratti lastricati. E’ facile supporre come la strada
accidentata alla quale s’accennava ne sia l’ovvio proseguimento.
Ma non è finita. La situazione si aggrava ancora
allorquando, attraversato il passo sulla cresta del monte, ci si ritrova ad
impegnare una discesa che si rivela peggiore del precedente tratto in salita.
Il Vivaro appare ad un tratto, come una liberazione. Per
raggiungere la strada asfaltata occorre però ancora qualche piccolo sforzo.
Infatti qui la strada, bella o brutta che sia, si interrompe ed è quindi
necessario costeggiare il bosco transitando sul prato adiacente fino ad
incontrare un’ altra strada che, questa volta, va proprio a sbucare su quella
asfaltata.
Un tragitto abbastanza impegnativo quindi ma proprio per
questo gratificante. E poi non c’è solo la strada ad attenderci. Qua e là,
attraverso squarci nel fitto del bosco che sembrano ricavati ad arte per
deliziarci, lo sguardo può spaziare sulla valle e sulle catene di monti
circostanti, i Lepini per primi.
Lungo la strada, a tratti, i declivi del bosco diventano
improvvisi scoscendimenti che rivelano la natura vulcanica del terreno. Si
intravvedono infatti vari strati sovrapposti e variamente colorati di materiale
vulcanico: ceneri e lapilli soprattutto.
Il bosco regala un fresco incomparabile durante la stagione
estiva, ed in autunno ti accoglie come
un ospitale padrone di casa mettendo il vestito buono della festa, colorandosi
di tutte le tonalità dal giallo all’arancio, dal rosso al marrone, e stende per
terra, ad accogliere il nostro passaggio, un tappeto uniforme di foglie secche
e ricci di castagno che al transito delle ruote suonano una particolare musica
alla quale siamo sempre meno avvezzi: quella della natura incontaminata.
Ottobre 2006 Lo
Scozzese