De italica exterophilia

(agli italiani piace foreigner)

 

Vorrei sottoporre alla vostra attenzione questo argomento, anch’esso un po’ fuori dal seminato a dire il vero,  perché sono molto sensibile alla questione e mi piacerebbe raccogliere i vostri pareri.

Gli ho dato scherzosamente titolo in latino, un po’ maccheronico probabilmente, per avere l’opportunità immediata di porre in evidenza un fatto.

L’italiano moderno, non solo è figlio diretto del latino, ma si può sostenere che sia il latino stesso dopo che, nei secoli, mediante l’uso e l’apporto di diverse altre lingue sia locali che straniere, si è trasformato fino a diventare la lingua che quotidianamente utilizziamo.

E’ totalmente diversa, sotto il profilo grammaticale e sintattico, rispetto al latino classico. Quest’ultimo però va considerato una lingua volutamente cristallizzata, tenuta sempre sostanzialmente identica a se stessa fino a quando cadde completamente in disuso nel diciottesimo secolo. Già negli anni dell’impero romano, la distanza fra lingua scritta e parlata, sappiamo era abbastanza evidente e potevano notarsi i prodromi di quelle differenziazioni che avrebbero portato la variante del latino parlata nell’Etruria, sostanzialmente l’attuale Toscana, a divenire la parlata popolare di quell’area prima e, come ben conosciamo, la lingua italiana poi.

Tutto ciò per dire che lo stretto legame che associa l’italiano al latino, il filo diretto, la provata continuità nonché la larghissima diffusione che quest’ultimo ebbe nel mondo antico e moderno in campo sociale, letterario e scientifico, dovrebbe rendere alla nostra lingua, il latino moderno, una dignità ed una considerazione che spesso viene disattesa. Ciò che è ancora più mortificante è che siamo proprio noi italiani i primi artefici di questa situazione.

Assistiamo, quasi impotenti, ad una colonizzazione della nostra lingua, soprattutto da parte di termini inglesi, che raggiunge una portata assurda, assolutamente ingiustificata. Moltissimi termini non sono mai stati tradotti e vengono utilizzati tali e quali. Difficile capire perché. Ho azzardato l’ipotesi che nella nostra mentalità, per ragioni storiche, ci sia una sorta di abitudine alla dominazione straniera e che, il fatto stesso d’essere stati liberati dagli americani comporti una sorta di riconoscimento del maggior valore di tutto ciò che è d’origine anglosassone. Ma è solo una possibilità.

Un altro fatto potrebbe essere che, un po’ pigri come siamo a volte, pensiamo non valga la pena spremersi quando c’è già chi l’ha fatto per noi. Lo scarso sentimento di unità nazionale che ci differenzia da altri popoli, come i francesi per esempio, può anche giocare un ruolo determinante.

In Francia, per proteggere l’identità culturale del loro Paese, il governo ha istituito da tempo un comitato che si incarica di trovare un corrispondente in francese di tutti quei termini e neologismi importati che ancora non l’hanno trovato.

Non dico raggiungere il loro estremismo, ma il fatto è che in Italia nessuno sembra darsi peso. Si continua imperterriti e, quel che è peggio, apparentemente con sommo gusto ed esibizione ad usare termini inglesi anche laddove non è strettamente indispensabile. A volte addirittura si distorcono le parole ed il loro senso stesso, con effetti tragicomici, spesso esilaranti. 

Comunque sia, il risultato finale è quello di una lingua che una volta, quando era ancora latino classico, poteva dirsi padrona del mondo e che col tempo, e non per naturale evoluzione come è avvenuto ed avviene per tutte le lingue, ma soltanto col nostro pessimo contributo, sta perdendo la propria illustre identità.      

 

 

See you later alligator. See you in a while crocodile.