Che fenomeno!
Non più di una decina d’anni fa, chi avesse parlato dei
numeri e del giro d’affari della Nove Colli, avrebbe
suscitato una certa incredulità anche da parte dei cosiddetti “addetti ai
lavori”.
Chi normalmente si occupava di professionismo, avrebbe infatti stentato a comprendere quali fossero le reali
motivazioni che spingessero un amatore, normalmente votato a gare su brevi
circuiti o a blande pedalate collettive “dietro motori”, le cosiddette “ciclo-turistiche”
o “ciclo-raduni”, ad affrontare distanze e difficoltà che si pensava fossero
appannaggio esclusivo dei professionisti.
In quanto a distanza, facevano infatti eccezione
solo i cosiddetti “raid”, una specie di gita sociale in bicicletta con bus al
seguito, il cui obiettivo era il raggiungimento di famosi luoghi di culto o di
obiettivi prestigiosi, come potevano essere le vette di certe montagne.
Poi, in quest’ultimo scorcio
d’anni, l’esplosione delle cosiddette “granfondo” è stata dirompente ed alla
Nove Colli, alla Campagnolo o alla Maratona delle Dolomiti, si sono
affiancate in tutto lo stivale, una miriade di piccole e grandi manifestazioni
similari.
Così, poco a poco, tutti, partecipanti o meno, si sono ormai
assuefatti all’idea che pedalare dal mattino al tardo
pomeriggio, per un amatore, non fosse tutto sommato un’anomalia, anzi,
il movimento trainante del ciclismo amatoriale è divenuto, ed ancora permane,
quello delle granfondo.
Nel tempo però, attorno al fatto, si sono consolidate idee e
comportamenti che l’hanno portato ad essere oggi elemento di forte discussione,
in quanto assai lontano dall’idea originale di un
viaggio sportivo collettivo visto come una grande avventura.
Piuttosto, forse anche grazie al nostro tipo di cultura
ciclistica, sono diventate vigenti, sia da parte degli organizzatori prima che
dei partecipanti poi, regole e comportamenti che le fanno assomigliare più ad
una tappa del Giro o del Tour che a ciò che erano
nelle originali intenzioni.
E’ una situazione che sta creando sempre più un senso di insofferenza da parte dei moltissimi, la stragrande
maggioranza in verità, che si sentono trattati come comparse di un film che
vede come protagonisti elementi con i quali si ha atleticamente ben poco a che
spartire.
Sarà probabilmente proprio per questa ragione che nel
frattempo anche Italia, sempre con il consueto ritardo che ci contraddistingue,
sta prendendo sempre più piede il fenomeno di quelle
prove su lunga distanza che prendono il nome di “randonnées”.
“Randonnée” è un termine francese
che sta pressappoco come il nostro escursione,
esplorazione, e quindi, dando retta al nome, implicano uno spostamento totale
degli obiettivi, tali da ricondurre apparentemente queste prove, ai canoni originari che hanno contraddistinto
le prime granfondo.
La verità e però che, se da una parte ciò è assodato,
dall’altra va considerato che esse, come obiettivi di
distanza, partono generalmente là dove le granfondo
hanno da sempre virtualmente posto il loro limite, e cioè da 200 chilometri in
su.
Pochissime le regole e la burocrazia: la partenza è sempre
“alla francese”, i tempi intermedi e finali vengono
rilevati ma non viene mai stilata una classifica finale, l’assistenza lungo il
percorso è concessa solo ai punti di controllo, e cioè dove viene rilevato il
passaggio dei partecipanti. L’obiettivo finale è solo il completamento del
tragitto stabilito nel tempo limite concesso, a fronte del quale viene riconosciuto il cosiddetto brevetto, una sorta di
attestato che testimonia il superamento della prova. Perciò andatura libera,
salvo però a non superare una media minima, che è poi quella che consente di mantenersi
entro il tempo massimo concesso, ed una massima che è stabilità in 33
chilometri all’ora: un calcio a qualsiasi velleità
agonistica.
Il tracciato, salvo rarissimi casi, non è segnalato: ognuno
è lasciato a se stesso ed all’ausilio di una cartina e di un “roadbook” che
elenca abbastanza minuziosamente il percorso da seguire.
Altra caratteristica particolare da tener presente è che,
per rientrare nei tempi, quando le distanze cominciano ad aggirasi
e superare i quattrocento chilometri, spesso ci si ritrova a viaggiare al buio,
quindi la bicicletta deve essere dotata di un impianto luminoso tale da
consentire di viaggiare in sicurezza. Non mancheranno borse e zaini con
indumenti di ricambio ed atti ad affrontare eventuali intemperie, vettovaglie
ed un minimo di attrezzatura per far fronte alle
emergenze meccaniche.
Prove dure insomma, ma virtualmente adatte a tutti se
affrontate con la testa sulle spalle, con un’adeguata preparazione e con la
conoscenza precisa dei propri limiti fisici.
C’è solo un grosso scoglio psicologico da superare che è
quello della distanza, ed è talmente rilevante per alcuni, da rendere queste
manifestazioni non molto appetibili, malgrado il
sempre crescente successo testimoniato anche dall’eccezionale partecipazione
italiana alla famosissima Parigi-Brest-Parigi dello
scorso anno.
C’è però una grossa novità nel settore che sembra tagliata a
misura per i veri “cicloamatori”, che è quella dei
“Brevetti Permanenti”. Viviamo in un paese che sembra disegnato apposta per
favorire il turismo itinerante in bicicletta. Ovunque si vada si incontrano bellezze naturali, centri storici
interessantissimi, opere d’arte.
Coi brevetti permanenti si vuole
sostanzialmente riscoprire il piacere di viaggiare ai ritmi di un tempo,
attraversando centri minori, transitando per strade secondarie e poco
trafficate.
Le regole da rispettare sono sempre le stesse già accennate,
ma la particolarità sta nel fatto che le distanze sono più “umane”, dell’ordine
quasi di una normale uscita di fine settimana, suddividibili in tappe a propria
discrezione, ed i vincoli temporali fissati per il completamento sono estremamente larghi: non mancherà il tempo per visitare
qualche luogo o monumento di particolare interesse o per gustare qualche
specialità gastronomica tipica. Al completamento viene
generalmente fornito un attestato ed un oggetto ricordo.
L’iniziativa si sta diffondendo per tutta l’Italia grazie all’ARI (Audax Randonneur
Italia) e sta per trovare perfezionamento anche qui da noi.
Teniamoci quindi informati; è probabile che a breve si
aggiunga una motivazione in più alle nostre classiche uscite di fine settimana.
Lo
Scozzese