Cartoline dalle Dolomiti (Maratona delle Dolomiti 2008)

 

 

Il grande salto

 

Può effettivamente essere rappresentato come un grande balzo, il lungo viaggio che dalle sponde del Tirreno porta nel cuore delle Dolomiti altoatesine; un salto in lungo, vista la lunghezza del tragitto o, forse meglio, un salto triplo: il primo per raggiungere ed attraversare l’Appennino da un versante all’altro, il secondo per lasciarsi dietro la pianura Padana, ed il terzo ed ultimo per arrampicarsi dal lago di Garda, attraverso la Val d’Adige prima e la Valle d’Isarco poi, su su verso i monti pallidi.

Quest’anno, anche un salto attraverso un cerchio di fuoco, visto il gran caldo che ci ha seguito lungo tutta la strada, e che ci ha parzialmente graziato solo al raggiungimento dei millecinquecento metri di altitudine di Corvara, palcoscenico della Maratona.

 

I vecchi amici

 

Arrivi e ritrovi tutti i tuoi vecchi amici: dapprima i monti che ti sovrastano maestosi, infondendoti un senso di tranquillità, poi la cittadina ed il passo Gardena che ne apre le porte e che si accolla, sereno, il peso dello stuolo di ciclisti multicolori che imperterriti, in salita ed in discesa, ne saggiano le difficoltà.

Ambiente ormai già sufficientemente conosciuto, che si ripresenta familiare, gaio ed accogliente.

Per finire, gli amici, quelli in carne ed ossa:  Mario e famiglia, Giuseppe, Gianni, Rolando, che trapiantati anche loro qui per l’occasione, contribuiscono, a modo loro a creare un ambiente ancora più gradevole e consueto.

 

 

Il Gardena al contrario

 

C’è poco da fare; razionalità consiglierebbe di utilizzare i giorni che separano dal grande evento solo per rilassarsi, per raccogliere le forze; ma i monti pallidi hanno lo stesso richiamo delle sirene di Scilla e Cariddi.

L’istinto di salire a cavallo della bicicletta è irresistibile; per non perdere l’occasione. Il mattino del giorno dopo l’arrivo, Mario, Giuseppe e Bepi, deputati a portabandiera del ciclismo locale per la prossima domenica, inforcano la due ruote e saggiano i tornanti del Gardena nel senso contrario a quello della Maratona. La salita da Corvara si rivela, come Mario già preannunciava, abbastanza più dura che dall’altro versante. Questa caratteristica, unita al fatto che il tempo si presenta abbastanza minaccioso, consiglia un rapido ritorno alla base, per non sprecare preziose energie.

Basta poco però per bearsi a sufficienza di un panorama mozzafiato, esaltante. Guglie di roccia a strapiombo avvolte da bambagia di vapor acqueo in rapido movimento, assecondato dalle correnti ascensionali.

Pareti dalle quali scaturiscono cascate d’acqua che s’infrangono nello strapiombo, sollevando fumi che si confondono con le nuvole basse.

Lo sguardo può spaziare lontanissimo, a cercare innumerevoli sfondi diversi.

 

 

I Serrai di Sottoguda

 

Piacevole consuetudine ormai: la giornata del sabato è dedicata al giro turistico.

Lo scorso anno è stata la volta dell’Altopiano dello Sciliar, meglio conosciuto come Alpe di Siusi.

Quest’anno invece, grazie anche all’appartenenza al percorso del Giro d’Italia almeno degli ultimi due anni, è stata la volta delle Gole dei Serrai di Sottoguda; la curiosità di vederle dal vero.

Posti ai piedi della Marmolada, tra il paese di Sottoguda e Malga Ciapela, i Serrai di Sottoguda sono una delle aree dolomitiche più frequentate, dagli amanti delle arrampicate sul ghiaccio d’inverno e dai ciclisti amanti delle salite impervie d’estate. Il breve accesso e la grande abbondanza di cascate rendono questa area estremamente interessante per un approccio di tipo "sportivo". Noi, almeno per questa volta, abbiamo preferito affrontarli a piedi, da semplici escursionisti, panini imbottiti, biscotti, melone e frutta varia al seguito.

Una stradina, chiusa al traffico motorizzato, annunciata da una fontana d’acqua gelata con annesso lavatoio, si insinua nella gola scavata nei millenni da un torrente che scende dalla Marmolada. Due pareti a strapiombo, colonizzate da conifere anche nei tratti più scoscesi e  solcate da cascate che si riversano nel torrente sottostante, incombono vicinissime da entrambe i lati. Le rive del torrente, vista anche la stagione, sono praticamente un variegato ed attraente giardino fiorito naturale.

Le cascate assumono nomi di fantasia piuttosto evocativi: Clessidra, Del Sole, Spada nella Roccia, Diagonale o Palestrina, La cattedrale, Excalibur, ma al di là dei nomi rappresentano per noi una sorta di strumento ipnotico: non si può fare a meno di osservare a lungo il movimento delle acque che cadono.

L’ultimo tratto di strada, estremamente ripido e faticoso anche a piedi, sbocca nella famosa località di Malga Ciapela e si congiunge con la provinciale che da Belluno e  Agordo, prosegue verso la Val di Fassa, il passo Fedaia e Canazei. 

La memoria corre alle scene dei ciclisti del Giro d’Italia che lo stavano affrontando viste in TV e spinge a considerare quanto il ciclismo professionistico possa essere impegnativo, ben oltre le nostre più dure imprese, compresa forse anche quella che ci attende per il giorno dopo.

 

Il miracoloso occhio artificiale

 

Mario è definibile come un “tecnologico” per eccellenza, perciò è sempre il meglio dotato in materia di strumenti di misurazione, e ripresa. La sua macchina fotografica digitale, coglie anche ciò che occhio nudo non riesce o riesce a male appena ad apprezzare. Così un fiorellino insignificante, allo zoom, rivela un’insospettabile e naturale bellezza, ma ciò che è più portentoso, dove gli occhi umani vedono solo due tralicci elettrici ed alcuni bassi arbusti, appare come d’incanto un magnifico capriolo al pascolo.

 

Gli artistici fabbri ferrai

 

Ci sono dei negozi appena fuori del centro abitato di Sottoguda, annunciati da caratteristiche figure in ferro battuto lungo la strada, dove è facilissimo entrare ma difficilissimo uscire; le donne ancor di più.

Ne sanno qualcosa Gianni, Rolando; gli altri nondimeno. La caratteristica del posto è infatti quella di una pregiata lavorazione del ferro battuto, che nelle mani dei valenti artigiani locali, assume le forme più varie: animali dall’aspetto estremamente realistico, lampadari e lampade da parete,  serti di fiori, farfalle escono dall’annesso laboratorio. Sarebbe interessante, anche conoscere da quale altro laboratorio possano uscire bellezze come la giovane commessa, che si prodiga a soddisfare i desideri e le curiosità degli astanti.

 

Il giorno “clou”

 

Non basterebbe un libro intero per raccontare gli avvenimenti e le emozioni che riserva il grande giorno; quello della Maratona; già l’anno scorso se n’è parlato. Riserverò però poche parole; spero basteranno.

Albeggiare soleggiato. Nell’aria fresca, non come ci si aspetterebbe, a centinaia i ciclisti si rincorrono silenziosi verso la propria area di partenza. Altoparlanti roboanti diffondono la voce di uno “speaker” esaltato per esaltare. Ciclisti esageratamente ciarlieri per l’emozione, altri sguardo perso e mente già sui passi. Interventi di personaggi famosi, locali e non. L’organizzatore in tutte le lingue più diffuse. La consueta preghiera benedicente. Inizio della diretta TV. Elicotteri sorvolano le griglie di partenza. Un cameraman si sporge pericolosamente e tutti salutano. Il via. Transito sul tappetino di rilevazione tempi e rischio immediato d’incidente: su un palco adiacente alcune discinte ballerine sudamericane s’esibiscono accompagnate da un sonoro ritmico tambureggiare. Transito a Corvara ed è subito il  Campolongo; salita non impegnativa per pendenza ma per il gran numero di ciclisti che ti contornano ed occupano la strada da ogni lato. Dove sono gli italiani? La gente osserva incuriosita l’interminabile serpentone, lo stesso che dopo la discesa verso Arabba tu stesso vedrai dipanarsi lungo gli innumerevoli tornanti del Pordoi. La discesa è sempre troppo rapida ed il Sella irrompe arcigno. Guardi dal basso e cerchi di indovinarlo fra le bellissime guglie che lo sovrastano. Al passo la vista è catturata a sinistra dalla Marmolada col suo candido letto di ghiaccio. Due chiacchiere con una spagnola affascinata. Ancora una rapida discesa, molto pericolosa a tratti. La sirena di un’ambulanza. Svolta a gomito ed a destra l’attacco del Gardena. Strada che dopo poco spiana all’ombra di pareti altissime sulla destra poi di nuovo l’impennata dei tornanti che menano fino al passo. All’ombra, blocchi di ghiaccio vecchio. Veloce discesa e siamo di nuovo a Corvara. Inevitabile calcolo mentale sulle forze residue prima di imboccare la via per l’arrivo del corto o proseguire per il medio/lungo. Coraggio! Il nuovo Campolongo, malgrado la perdita di freschezza, è più facile adesso. I muscoli sono caldi e la frotta di ciclisti si è fortunatamente diradata. Arabba è come il centro di un otto; questa volta si svolta a sinistra. Strada ondulata per circa dieci chilometri, consente ai misurati di prendere fiato. Non è tempo per il Giau, i cancelli temporali d’ingresso sono probabilmente ancora aperti ma il cervello, prudentemente,  li chiude. Si annuncia il Falzarego dei boschi ombrosi, prima timidamente e poi con sempre maggiore prepotenza. L’occhio aperto del tunnel annuncia la cima. Un ciclista spavaldo all’inseguimento degli amici. Una presa di fiato prima delle stilettata del Valparola. I ciclisti del lungo, provenienti dall’opposto versante, favoriti da un breve tratto in leggera discesa, sembrano tutti più freschi. Scoraggiante. La grossa roccia in cima al passo si avvicina lentamente ma in modo rassicurante. Quando si scollina è inevitabile la sensazione di liberazione; ormai è come se fosse tutta discesa. A capofitto verso La Villa cercando di sciogliere le gambe per prevenire gli agguati dei crampi. Erta impennata in vista dell’abitato. Il ciclista spavaldo del Falzarego disteso a terra, urlante all’indirizzo di chi lo sta assistendo, in preda ai crampi fino alle orecchie. Un “bravo” rincuorante al mio indirizzo. Risparmiare le forze contro inutili affanni agonistici finali. Transito sotto l’arrivo assiepato di persone da entrambe i lati. Alcuni braccia al cielo altri accennano un segno della croce. Una bibita fresca ed un cappellino a testimoniare il completamento dell’impresa sono gli unici trofei ottenibili da quelli come me. Vociare alto all’interno del Palazzetto del Ghiaccio, occupato da una serie di tavolati. Via vai di gente dentro e fuori. Piatti di pasta, carne e wurstel alla brace, patatine, fettone di strudel, bevande. Commenti cogli amici. Meritato riposo. In un attimo il palcoscenico viene smontato e tutto sparisce, anche gli innumerevoli involucri delle barrette e degli altri integratori abbandonati per strada, ma non spariscono i ciclisti che riprendono, come se niente fosse stato, il via vai su e giù per Campolongo e Gardena.

 

Mesto ritorno

 

Arrivederci montagne...se la fortuna ci assiste.

 

 

                                                                                              Lo Scozzese