Sono convinto del fatto che le cose inanimate abbiano
anch’esse un’anima e che, al pari di ciò che si definisce animato, soffrano o
gioiscano di una loro particolare condizione.
Provate a guardare per esempio quelle vecchie biciclette che
qualche volta vengono abbandonate vicino ai secchioni dei rifiuti o in qualche
discarica abusiva ai margini delle strade e guardate subito dopo la vostra
specialissima: sporca, arrugginita, disastrata l’una, immagine di una vera e
propria sofferenza, pimpante e lucente l’altra, immagine della felicità e della
gioia di vivere.
Non è che io pensi davvero che esse effettivamente sentano
questa loro condizione, ritengo però che ciò che noi sentiamo nei confronti di
esse, si rifletta e ci ritorni come se questo nostro sentire fosse loro
proprio.
Ciò detto, pensateci bene; a nessuno di voi è mai capitato
di provare pena nei confronti di qualcuno vedendolo o sapendolo sofferente,
tanto da sentirvi spinti ad aiutarlo in qualche modo?
Pensate non possa essere parimenti giustificato desiderare
di comportarsi nello stesso modo nei confronti di un oggetto che ci trasmette
“sofferenza”?
Vi dico la verità; a me succede spesso che, trovando una
cosa vecchia, meglio se un po’ disastrata ma in modo non irrimediabile, che mi
appaia bisognosa di cure manuali, risultato ed immagine d’un abbandono e quindi
di ”infelicità”, io senta il bisogno di curarla e tirargli fuori di nuovo
quello splendore, assimilabile ad un senso di felicità e gioia di vivere, che aveva quando era nuova e fiammante.
La guardo e sento subito una forte attrazione e penso a
quale fonte di desiderio deve essere stata ancor prima d’essere posseduta e per
chi, e quanta compagnia deve aver concesso al suo possessore; mi viene insomma
forte il desiderio di rimetterla in sesto.
Una vera e propria trappola alla quale, però, qualche volta
mi concedo, pur nella piena consapevolezza, con estremo piacere, soprattutto
quando l’oggetto di questo impulso fa parte d’una mia passione.
E’ capitato anche piuttosto recentemente. Voglio raccontarvi
di questa mia esperienza e chissà che non trovi in qualcuno di voi un compagno.
Un mio amico e collega di squadra, non avendo molto spazio
in casa, ogni tanto mi rifornisce di riviste specializzate di ciclismo che io
scorro avidamente soffermandomi su ciò che ritengo per me più interessante.
Mi ha particolarmente colpito, in una di queste, un articolo
che riguardava quella famosissima manifestazione che si tiene in ottobre in
Toscana ed è chiamata “L’Eroica”.
Per chi non la conoscesse, e credo che oggi siano veramente
in pochi, ricorderò che si tratta di una granfondo fatta con biciclette d’epoca
in una cornice che è in perfetta sintonia con le bici stesse. Così sono d’epoca
le macchine e gli scooter al seguito, l’abbigliamento dei partecipanti, l’organizzazione
tutta, ristori compresi, e buona parte
delle strade che sono ancora sterrate; una vera festa di un ciclismo da
pionieri.
La cosa m’ha colpito a tal punto da spingermi a ricercare
con foga una vecchia bici da sistemare per poter partecipare e dare sfogo, di
conseguenza, sia alla mia propensione a sistemare le vecchie cose che alla mia
passione per il ciclismo; veramente per me il massimo.
C’è voluto un bel po’ ma alla fine, con un po’ di fortuna e
una cinquantina di Euro, sono venuto in possesso di una Bianchi fine anni
sessanta la quale, malgrado le apparenze lasciava indovinare d’essere ancora in
perfetto stato.
Mesi di ricerche minuziose dall’esito a volte fortunato a
volte meno, m’hanno consentito di trovare i pezzi necessari per rimetterla in
sesto; così un amico, anche lui appassionato, m’ha regalato un perno cavo per
il movimento centrale, un mio collega di squadra ottuagenario (d’epoca anche
lui) una curva ed una pipa “Giro d’Italia” mod. Felice Gimondi, un famoso
commerciante locale una preziosa sella Brooks in puro cuoio nuova di zecca a
pochi soldi, un altro, sempre a pochi Euro, una guarnitura d’epoca in acciaio
con corone 52/38.
Un secchione dell’immondizia m’ha inoltre fornito una coppia
di splendide leve freni Weinmann.
Qualcuno, poi, m’ha aiutato a trovare l’abbigliamento
adatto: maglia rigorosamente di lana, guanti in maglia di cotone traforata e
pelle, scarpini adatti a pedali con gabbiette ed i pedali stessi, e, per
finire, un fiammante caschetto a salsicciotti di pelle nera.
La fortuna ha poi voluto che una ditta produttrice di
vernici, accettasse di preparare per mio conto un prodotto dell’esatto colore
dell’originale, che m’ha consentito di fare ritocchi invisibili dove necessario
su alcune parti del telaio della bicicletta.
Il risultato ottenuto vorrei lo vedeste: la bici, fiammante
quasi come in origine, fa bella mostra di sé insieme alle altre due che
posseggo.
Chiaramente, inutile dirlo, è stata subito provata. Qualcuno
di voi, se mi legge, probabilmente ricorderà un tizio piccoletto incontrato
sotto Sermoneta vestito come Bartali all’indirizzo del quale ha osservato:
“Aho, ma ‘n vedi quello! Che stàmo all’Eroica?”
Lo confesso, quello ero proprio io.
Qualcuno poi m’ha visto partire e tornare da un solitario
giro dei Monti Lepini; giuro, non è stato mai più divertente di così.
Ora, voglio dire, se qualcuno avesse capito il senso di
tutto ciò e fossi riuscito a trasmettergli un po’ d’entusiasmo, consideri che
da qui al primo di ottobre, data nella quale si terrà l’Eroica, c’è ancora un
bel lasso di tempo e le cantine o le rimesse di qualche commerciante sono piene
di “ruderi” che non aspettano altro che godere
ancora di un po’ di “felicità”.
Lo
Scozzese