Bi...cicletta - moto...cicletta 

 

E’ sempre lo solita storia: un povero cristo non fa in tempo ad avere un’idea geniale e renderla pubblica che subito qualcun altro ne approfitta. Risultato scontato, o il poveraccio  perde la paternità dell’archetipo, oppure, al minimo, questo qualcun altro usa l’idea come spunto per qualcosa di diverso che magari ha più successo rispetto originale.

Consideriamo, ad esempio, il caso del nostro Meucci il quale, una volta inventato il telefono, s’è ritrovato defraudato della paternità della scoperta da parte d'un certo Bell, americano (ammazza l’americani!).

Altro esempio calzante è quello di John Kemp Stanley, sostanzialmente l’inventore delle prima bicicletta che, per la somiglianza con l’attuale sia sotto l’apetto estetico che sotto quello funzionale, possa definirsi moderna.

Ebbene, nel 1885, non appena egli mise a punto e commercializzò quella che venne definita con il nome di  “bicicletta di sicurezza”, per distinguerla da quel trabiccolo contemporaneo, pericolosissimo, che si caratterizzava per avere una ruota grandissima davanti ed un ruotino insignificante dietro, qualcuno si accorse subito d’una cosa “terribile” della quale ancor oggi spesso si disquisisce. Si tratta del fatto che pedalare, trabiccolo o meno che sia, comunque vada costa fatica.

Considerazione che, per quanto ovvia, va vista anche nell’ottica del fatto che, psicologicamente,  in quell’epoca, non si era abituati all’idea di doversi spostare a spese dei soli propri mezzi fisici, abituati come s’era a far uso della forza dei cavalli per qualsiasi dislocamento e per ogni  trasporto di una certa entità.

All’incirca in quegli stessi anni, si parla del 1853, un religioso, tal Eugenio Barsanti, depositò presso l’accademia dei Georgofili, insieme con un suo collaboratore, l’Ing. Felice Matteucci, un plico contenente il resoconto di alcuni esperimenti fatti, che è considerato come l’atto di nascita del motore volumetrico, impropriamente e volgarmente definito come “a scoppio”.

Ora, il furbacchione di turno, quello del quale s’è già parlato e che aveva scoperto l’acqua calda e cioè che pedalare costa fatica, rubacchia l’idea dell’uno e degli altri e tira fuori dal cilindro un’idea tutto sommato abbastanza originale: appiccicare un motore “a scoppio” ad una bicicletta.

Il volpone di cui sopra rispondeva al nome di Gottlieb Daimler ed è tuttora considerato l’ideatore del primo motociclo, venuto alla luce, guarda un po’,  nello stesso anno, vale a dire il 1885, nel quale John Kemp Stanley  iniziò la commercializzazione della sua “bicicletta di sicurezza”.

Al di là delle storie di plagio sulle quali è facile poter scherzare come abbiamo fatto, vorrei in ogni modo osservare come si dimostri che esista un filo diretto, un legame indissolubile che lega questi due mezzi di trasporto e che li riconduce ad un’origine comune.

Ciò malgrado ho sempre pensato che essi, dopo un centinaio d’anni di vita in comune o poco più,  si collocassero su posizioni talmente divergenti ed antitetiche al punto che, quando ho scoperto come un nostro comune amico e collega amasse praticamente alla stessa stregua sia la moto che la bici, non ho potuto fare a meno di sollecitargli una risposta alla seguente domanda:” Come concili la passione per le potenti e roboanti motocilette, i cui cavalli sono docilmente servi della guida del conducente, con quella per la bicicletta alla quale, invece, il quarto di cavallo che a stento un ciclista medio riesce a sviluppare basta appena a farla muovere ad una certa velocità?”.

Avrei anche voluto chiedergli come sia possibile disporre di un carattere che consenta di accettare la fatica, la pazienza e la costanza che la bicicletta richiede e nello stesso tempo quello caratteristico di chi conduce una potente moto, sicuramente più energico, impetuoso, a volte anche un po’ spericolato.

La risposta che m’è stata fornita mi ha colto un po’ di sorpresa e m’ha fatto riflettere. Siccome penso possa essere un valido spunto di ragionamento anche per coloro che stanno leggendo questo trafiletto, vorrei riportarla integralmente qui di seguito.

Diceva il nostro amico: Eppure i due mondi non sono così distanti come sembra anzi per certi versi si somigliano molto. Prendi per esempio il fatto che spesso si trovano in strada frotte di  motociclisti che riunendosi la domenica mattina vanno a fare la gita fuoriporta magari solcando strade tortuose, di montagna, proprio come  noi.
Partecipano, quando capita l'occasione ai loro cicloraduni, o meglio ai  MOTOraduni,ed a volte sono centinaia o addirittura migliaia, proprio  come noi.
L'apoteosi si raggiunge nelle gare, massima espressione sportiva e agonistica dove dilettanti e fior di campioni ogni fine settimana animano gare spettacolari, proprio come noi.
Si diversificano in varie discipline solcando i nastri di asfalto o gli sterrati più audaci, i circuiti o le maratone, proprio come noi.
Potrei continuare su questa falsariga ma il punto fondamentale ritengo sia la possibilità di stare strettamente a contatto con la natura che ci circonda.
Certo che purtroppo la moto inquina, fa rumore ma quando la si usa non si può fare a meno di godersi il panorama delle campagne, delle colline e degli spettacoli che la natura ci offre come quando si va in bici.

Allo stesso modo si è direttamente esposti alle intemperie, col  vento in faccia, col freddo o il caldo, la pioggia e quantaltro.

Si guida con divertimento tra una curva e l'altra come capita di fare in discesa con la bici specie se una mountain bike.
Insomma ti posso assicurare che i due mondi sono molto più vicini di quanto tu possa credere. Certo con la bici si fatica, si conquista la strada metro per metro, ma ogni tanto ripercorrere le stesse vie stando comodamente seduti, godendosi il panorama e divertendosi a guidare non è affatto male.
In fondo poi entrambe hanno due ruote, forse è proprio per questo che si somigliano molto”.
Alla luce di queste considerazioni è facile dedurre che  è proprio vero: quello che unisce la moto e la bici non è solo il suffisso “cicletta”, ma, a parte l’origine comune, anche qualcosa di più profondo.

 

Ottobre 2006                                                                                                                     Lo Scozzese