Ndemo, annamo, iamo...amuninni

(alla ricerca della biodiversità)

 

Ancora il solito Bossi a tenere banco ed a scuotere le italiche coscienze dal torpore estivo.
Dall’altro lato Napolitano, cappellino bianco a proteggere la presidenziale calva ed autorevole cervice (visto oggi di sfuggita in TV. Anche Silvio allora è legittimato ad indossarlo), a pronunciare parole accalorate per dar prova di svolgere il suo ruolo istituzionale di garante della Costituzione e dell’unità nazionale, messa anche in questo caso in pericolo, ed a giustificare la congrua retribuzione.
Che paura incute Bossi anche quando fa il micione! ^_^Sornione, infingardo, suadente, ripropone uno dei suoi classici: l’insegnamento del dialetto a scuola.
E’ uno degli argomenti questo che più mi appassiona, perché ho speso e spendo ancora buona parte del mio tempo su internet proprio per ricerche sui dialetti e sulle lingue antiche e moderne.
Potrei spendere parole su parole sulla materia, ma non voglio annoiarvi.
Vorrei soltanto porre alla vostra attenzione un paio di considerazioni.
La prima è che in alcuni settori, come per esempio in quello naturalistico ed antropologico, riferito quest'ultimo agli usi, ai costumi ed al folklore, la diversità e sempre stata considerata una ricchezza.
Mi chiedo se non sia da considerarsi la stessa cosa anche per i dialetti. :huh:
Io sono sicuro di si e non capisco veramente questo tuonare nei confronti della proposta di un’iniziativa che non farebbe che arricchire le nuove generazioni.
Va bene l’omologazione sotto una lingua comune, armoniosa, musicale, colorita e dignitosissima come l’italiano, ma non hanno forse la stessa dignità i dialetti? Alcuni assurgono anche al ruolo di lingua in considerazione del fatto che hanno un retroterra letterario. Inoltre, c’è forse modo più efficace, completo ed espressivo di relazione nella quotidianità di quello consentito dall’uso del dialetto?
Dove sta lo scandalo? Non è forse che una certa mentalità politica, ancora una volta, tende più all’omologazione che all’incentivazione od al mantenimento delle libertà individuali?
La seconda considerazione che vorrei fare è forse più il breve racconto di un’esperienza che mi vede protagonista. Si, perché io sono la dimostrazione vivente di ciò che è successo in Italia da quando, grazie soprattutto alla televisione, ci siamo tutti riuniti sotto l’insegna della lingua italiana. Un bene sotto certi aspetti. Fuori di dubbio.
A cinque anni sono stato strappato dal mio paese, nel Polesine, per le note vicende legate agli allora frequenti straripamenti del Po. Era il 1952. Da allora ho vissuto in lungo ed in largo per tutto lo stivale, dal nord al centro al sud e poi di nuovo al centro. Ho imparato e parlato numerosissimi dialetti. Posso dire indifferentemente e quasi con la stessa facilità:ndemo, annamo, iamo, iamocenne, sciamocinne, amuninni per dire “andiamo o andiamocene”. Ma non ho mai smesso di parlare il mio dialetto d’origine, mantenendolo vivo com’era nel 1952.
Sono tornato anche recentemente nel mio paese pensando di ritrovare il mio dialetto e trovando invece al suo posto una strana mescolanza con l’italiano. Per scherzo abbiamo imbastito coi miei residui parenti locali, sempre increduli, una battaglia di modi e termini dialettali che ho vinto con orgoglio a piene mani. Il loro dialetto è imbastardito e non è più così vivace come una volta.
Anche se, d'altra parte, io ho perso un po' l'accento, la caratteristica cantilena del veneto, è con autocompiacimento, vanto, e forse con un po’ di presunzione che dico che io mi sento molto più ricco di loro. -_-

Salutammo

P.S.: ricordo ora d'essere al corrente del fatto che in una scuola qui a Nettuno, si tengono già corsi di dialetto nell'ambito del normale programma di studi. Perciò...